Activating Evolution ~ Heroes GdR

In cerca di una cura, laboratorio di Mohinder, ex loft Mendez

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view post Posted on 5/10/2011, 12:27
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Mohinder Suresh


«Il conflitto fra il bene e il male si riduce a una scelta elementare: sopravvivere o soccombere.»


Scheda personaggio


Umano


28 anni



Avevo trascorso la notte sveglio, davanti allo schermo a cristalli liquidi del mio computer, in cerca di una soluzione.
In cerca di un modo per debellare una volta e per tutte lo Chanti Virus.
Sembrava che gli esseri umani avanzati fossero migliori, più forti, indistruttibili.
Fossero evoluti e quindi niente li potesse scalfire.
Invece un virus, una malattia era in grado di ucciderli, ed io ero, finora, l'unico modo per salvarli.
C'era qualcosa nel mio sangue in grado di eliminare lo Chanti Virus dal corpo dei soggetti avanzati.
Sfortunatamente non sapevo ancora cosa di preciso.
Le mie ricerche non potevano cessare; cosa sarebbe successo se mi fosse accaduto qualcosa?
Quando morirò, come faranno loro?
Non potevo permettere che la loro razza si estinguesse a causa mia.
Io ero nato con il solo scopo di salvare mia sorella da quella malattia distruttiva.
Non avevo fatto in tempo, lei era morta.
Mio padre imputava a me la colpa della sua dipartita prematura.
Era colpa mia, io non ero nato in tempo.
Io però non la pensavo come lui.
Non avevo meriti, né colpe per quanto riguardava le sorti di Chanti.
Inoltre, non ero riuscito a sottrarla alla morte, ma ero stato in grado di aiutare molti altri, grazie anche alla Nuova Impresa.
Ero entrato nell'organizzazione con il solo scopo di distruggerla dall'interno, ma mi stavo rendendo conto che questa Impresa non agiva sempre male.
Innanzitutto metteva a disposizione delle mie ricerche innumerevoli ed essenziali risorse.
Non avrei mai tradito Noah Bennet, insieme avremmo affossato quella congregazione di uomini che si credevano Dei, che credevano di poter giostrare il destino di tutti gli altri come se fossero burattinai, ma avevo deciso che, finché ne avessi avuto l'opportunità, avrei continuato a sfruttare l'Impresa a mio vantaggio.
Era perciò vitale la celerità.
Dovevo sbrigarmi a scoprire cosa nel mio sangue eliminava il virus, prima che Noah decidesse di porre fine al mio lavoro sotto copertura.
Prima che l'Impresa crollasse definitivamente.
I miei contatti con HRG si facevano sempre più rari.
Bob Bishop non si fidava di me, lo intuivo da come mi guardava, dalle parole che mi rivolgeva.
Egli sapeva, o forse temeva solamente, la mia fedeltà.
Immaginava che non amavo la reclusione che l'Impresa imponeva ai soggetti avanzati.
Per quella ragione mi aveva affiancato Jessica Sanders.
Avevo salvato quella donna dallo Chanti Virus qualche tempo prima, e da allora eravamo divenuti inseparabili.
Noah mi aveva ripetuto più volte il motto dell'organizzazione: "Uno di loro, uno di noi", e sembrava che tale dogma non cadesse mai in disuso.
Jessica difatti era dotata di una forza sovrumana.
Inoltre era affetta da disturbo della personalità.
Credevo che lo spezzamento dell'io fosse imputabile alla scoperta di abilità straordinarie, ma avrei dovuto dedicare ancora molti studi per confermare quella teoria.
Sospirai massaggiandomi gli occhi chiusi pensando a quante ricerche erano ancora necessarie.
Mio padre aveva dedicato la sua vita per cercare di scoprire di più sull'evoluzione, ed io sentivo che il mio destino sarebbe stato simile al suo.
Il desiderio di sapere mi avrebbe portato a dimenticare tutto della mia vita precedente e a concentrarmi solamente sugli studi.
Per fortuna Jessica mi rammentava di vivere e di non isolarmi nel vecchio loft di Isaac Mendez, ora adibito a mio personale laboratorio.
Sospirai guardando verso la porta, sperando di veder comparire Jessica.
Avevo bisogno che mi intimasse di smettere con le mie formule, o, ero certo, sarei impazzito nel giro di un paio d'ore.
Non avrei cessato di studiare da solo, la mia determinazione me l'avrebbe impedito, avevo bisogno di qualcun altro che me lo imponesse.
 
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view post Posted on 5/10/2011, 15:55
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Jessica Sanders


Sono io, papà, Jessica. La figlia che hai soffocato. La figlia che hai ucciso


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Da quando Mohinder, con il suo sangue, mi aveva curata, avevo iniziato una nuova vita.
Niki non aveva più alcun potere su di me, io mi ero impadronita del suo corpo ed ero riuscita a prevalere su di lei... del resto ero io la più forte.
Lo ero sempre stata.
Sapevo che Micah era al sicuro da sua nonna, malgrado fosse la madre di D.L., ma del resto non potevo tenerlo con me.
Non lo volevo anche se in fondo gli volevo bene, inoltre era Niki quella affettuosa, non di certo io.
Ero consapevole di non essere fatta per una vita tranquilla e casalinga, quindi dopo queste premesse ero riuscita ad accettare il fatto che mio nipote venisse cresciuto da quella vecchia.
Era la cosa migliore da fare.
Da quando avevo riottenuto la mia abilità, mi ero concentrata su un unico obiettivo: diventare un'agente dell'Impresa.
Bob Bishop era disposto a pagarmi bene e il denaro era l'unica vera cosa che riuscivo ad apprezzare, e inoltre, ciò che dovevo fare, non si discostava molto dalla mia natura di assassina.
Divenni la collega di Mohinder e con lui, stranamente, riuscii ad instaurare un rapporto di amicizia.
Inizialmente non mi sembrava possibile, in fondo io ero concentrata su poche cose materiali e avevo sempre trascurato i rapporti di questo genere, ma ben presto dovetti accettare la realtà dei fatti: Mohinder ed io eravamo diventati inseparabili.
Quella mattina mi svegliai presto e lasciai solo il dottore con i suoi studi.
Non mi piaceva il fatto che avesse trascorso tutta la notte a lavorare.
Il suo fisico, come quello di qualunque altro, ne avrebbe risentito ma conoscendo il suo carattere sapevo perfettamente che, da solo, non si sarebbe mai fermato.
Entrai in una tavola calda e comprai la colazione per entrambi.
Subito dopo tornai nello studio intenzionata a distrarre, almeno per un po', Mohinder.
Aprii la porta e una chiara luce mattutina illuminò debolmente la scrivania.
Guardai per un attimo i vari fogli di appunti che erano appoggiati sopra il tavolo, sapevo che per me ciò che c'era scritto era incomprensibile ed onestamente non avrei perso tempo a tentare, invano, di interpretare tutte quelle formule.
Sorrisi alzando il sacchetto nel quale c'erano i waffel ancora caldi.
Ho portato la colazione! dissi avvicinandomi a Mohinder e porgendogli il caffé.
Almeno così ti riposerai un attimo commentai guardandolo leggermente preoccupata.
Il volto di Mohinder lasciava poco all'immaginazione, era evidente che non aveva chiuso occhio la notte.
 
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view post Posted on 14/10/2011, 12:17
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Con un sospiro sollevato accolsi l'ingresso di Jessica nel laboratorio.
La perpetua frequentazione si era tramutata in una convivenza dettata dal desiderio dell'Impresa di controllare ogni mia mossa.
Fortunatamente vivere assieme a Jessica si era dimostrato più piacevole di quanto pensassi.
Mi strofinai gli occhi con una mano, mentre avvertivo i bulbi bruciare a causa della troppa vicinanza allo schermo a cristalli liquidi del computer.
Emisi un gemito soffocato.
«Mi farebbe bene mangiare» commentai riaprendo sollevando finalmente le palpebre.
La ricerca di una cura efficace alle mutazioni dello Chanti Virus mi lasciava stremato, prosciugava ogni mia energia.
Eppure sapevo che non potevo fermarmi.
Io ero l'unica speranza per i soggetti avanzati.
Non ero presuntuoso nell'asserirlo, ma era vero.
Grazie agli studi precedentemente effettuati da mio padre, grazie alle mie ricerche, ero l'unico genetista che conoscesse così a fondo le mutazioni sorte in certi individui.
Un sorriso amaro affiorò sulle mie labbra a tale pensiero.
Cosa sarebbe successo se io fossi morto?
Ero veramente l'unica speranza per loro, per evitare a questa nuova 'razza', di estinguersi?
Ruotai sulla sedia da ufficio sulla quale ero seduto e mi voltai verso Jessica.
Le sorrisi, ma quell'espressione era totalmente diversa a quella che aveva dipinto il mio volto poco prima: era completamente sincera e priva di amarezza.
Presi il caffè che mi porgeva e bevvi un sorso.
Immediatamente la mia gola venne attraversata da quella bevanda calda che mi diede subito un senso di maggiore lucidità.
«Molto meglio» constatai sollevato.
Guardai Jessica mentre sgomberavo da un tavolo che teoricamente doveva servire per la consumazione dei pasti, da fogli, grafici e provette.
«Bob ha dato sue notizie?» chiesi desideroso di sapere se il signor Bishop avesse manifestato qualche nuova intenzione circa i miei studi.
 
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view post Posted on 11/2/2012, 20:41
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Jessica Sanders


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Ricambiai il sorriso di Mohinder prima di sedermi accanto a lui.
Egli spostò i vari fogli che occupavano la scrivania per permettermi di appoggiare il sacchetto contenente la colazione.
Da quando avevamo iniziato a convivere per lavoro non avevo mai pensato di cucinare.
Non mi piaceva occuparmi delle faccende di casa, non ero affatto, quella che si dice, un'ottima moglie.
Avevo sempre fatto affidamento alla tavola calda aperta qui vicino.
Quando Mohinder mi chiese notizie su Bob, scossi il capo.
-No, non si è fatto sentire ma non penso che passerà molto tempo prima che ci chiami- risposi aggiungendo una mia sensazione.
Giusto per un'ulteriore conferma presi il cellulare e guardai la schermata.
Non c'era nulla di nuovo.
Con un sorrisetto leggermente malinconico appoggiai anche il cellulare sulla scrivania di Mohinder.
-Mi manca l'azione- mi lamentai con la speranza che Bishop si sbrigasse ad affidarmi un'altra missione.
Non ero proprio portata per la vita tranquilla.
Volevo utilizzare la mia forza, il mio potere per combattere ed uccidere.
Successivamente mi avvicinai al sacchetto di carta bianca ed estrassi due custodie di plastica nelle quali c'erano i waffel che avevo comprato poco fa.
Uno lo passai a Mohinder mentre l'altro lo avvicinai a me.
-Hai scoperto qualcosa di nuovo?- chiesi al dottore, con una punta di curiosità, facendo riferimento alle sue ricerche.
Sapevo che la mia domanda avrebbe potuto metterlo di malumore qual'ora la sua risposta fosse negativa ma desideravo realmente interessarmi ai suoi studi.
Più che altro non volevo che pensasse che trovassi noioso ciò che invece lui riteneva entusiasmante.
Anche se in realtà un po' era vero, volevo che sapesse che gli ero vicino e che credevo nelle sue capacità.
Ero convinta che avrebbe scoperto qualcosa di straordinario alla portata della sua intelligenza.
Allungai una mano per afferrare una forchetta che avrei usato non appena avrei iniziato a mangiare.
 
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view post Posted on 20/3/2012, 20:52
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Mohinder Suresh


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Presi la confezione che Jessica mi stava porgendo, curioso di scoprire cosa avesse scelto come consumazione.
Accennai un sorriso divertito quando vidi il mio biscotto dolce a cialda.
«Tipica colazione americana» commentai ironico.
Successivamente mi concentrai su quanto detto dalla mia collega.
Il signor Bishop non si era fatto sentire, il che, a mio avviso, poteva significare due cose distinte.
Prima: egli era impegnato in altre questioni, ben più importanti, pertanto non aveva potuto contattarci.
Seconda: non c'erano novità interessanti.
Il mio ottimismo mi faceva sperare che la verità fosse riconducibile alla seconda opzione, ma non potevo escludere che in realtà quella vera fosse la prima ipotesi.
Sebbene fosse poco tempo che ero a conoscenza che gli studi di mio padre non erano mere chimere, avevo maturato abbastanza esperienza per sapere che il campo nel quale ci stavamo addentrando non era scevro di pericoli, tutt'altro.
C'era sempre qualcuno pronto ad aggredire, qualche soggetto avanzato terrorizzato da ciò che era, dallo straordinario potere che era maturato in lui, che, preso dal panico, cercava risposte.
Il libro scritto da mio padre era il volume più famoso, o almeno sembrava che tutti i soggetti avanzati fossero in possesso di una copia (ricordavo perfettamente il mio primo incontro con Peter Petrelli), e dal momento che Chandra era morto, la persona più vicina era il sottoscritto.
Chissà perché tutti pensavano che dal momento che mio padre era l'autore del volume, io fossi a conoscenza di tutte le risposte.
Fortunatamente avevo deciso di seguire le sue orme ed ero diventato anche io un genetista.
Un genetista che non credeva nei suoi studi, dovevo ammetterlo.
Avevo fatto faticare non poco Peter per dimostrarmi che esistevano realmente persone in grado di compiere azioni straordinarie.
Davanti a me ne avevo un esempio.
Jessica Sanders era una creatura straordinaria.
Scrollai il capo allontanando quei pensieri: ormai erano passati.
«Sono sicuro che l'azione non tarderà a trovarci.
E' come se avessimo un segnale GPS per i guai»
scherzai.
Successivamente il mio sorriso scomparve, lasciando il posto ad un'espressione stanca e spossata.
«No purtroppo» confessai, non senza una nota di frustrazione.
Non mi piaceva ammettere di non essere ancora riuscito in qualcosa che doveva competermi.
«Ho bisogno di maggiori studi» conclusi allontanando quei pensieri bevendo un altro sorso di caffé, unendo la bevanda ad un boccone di waffel.
«Mi dispiace, ma dovrai sopportarmi ancora per un po'».
 
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